Alimentazione e contaminazione: un po’ di chiarezza

24 Ott 2015

Rubrica glutenfree a cura delle foodblogger di Spunti e Spuntini senza glutine

La celiachia è una malattia autoimmune innescata dall’ingestione di un enzima, il glutine, che porta all’infiammazione dei villi intestinali scatenando una serie di reazioni diversificate da paziente a paziente (gli effetti più comuni includono diarrea, vomito, dolore addominale, dermatite e altre reazioni cutanee). Può manifestarsi nella vita di un soggetto in qualsiasi segmento dell’arco di vita, e l’unico rimedio possibile, attualmente, è seguire una dieta completamente priva di glutine.

Poste in questi termini, la celiachia e l’esclusione del glutine dall’alimentazione appaiono condizioni difficili da accettare, e finiscono spesso per disorientare e scoraggiare non soltanto i celiaci, ma anche le loro famiglie e le persone ad essi più vicine. Ma non è affatto detto che debba andare così: basta informarsi, rendersi responsabili, flessibili e, perché no, creativi! La celiachia, infatti, pur essendo ormai annoverata tra le malattie croniche, può essere “messa a tacere” (anche se non guarita) attenendosi rigorosamente ad un regime alimentare privo di glutine. Così facendo il malessere e l’infiammazione intestinale dovuti ad una diagnosi tardiva tendono ad attenuarsi notevolmente, impedendo che la celiachia degeneri in patologie più gravi e si configuri come una malattia invalidante.

Spesso, a rendere più problematico il rapporto con la celiachia è la consapevolezza che si debba convivere a vita con un certo tipo di dieta, e che si debba continuamente prestare attenzione a non ingerire glutine, neanche in quantità minime.

Ma in che cosa consiste la dieta senza glutine? Il glutine è contenuto in molti cereali di largo consumo. Lo ritroviamo, ad esempio, nel frumento, nell’orzo, nella segale, nell’avena, nel malto, nel kamut, nel farro, e in tutti i loro derivati (ad esempio conservanti, coloranti, farine, derivati del pane, biscotti, dolci, gelati, sughi, alcolici, prodotti confezionati, e così via). In sostituzione di questi alimenti il celiaco ha comunque a disposizione una vasta gamma di cereali naturalmente privi di glutine: mais, riso, quinoa, grano saraceno, miglio, amaranto, e tutti i loro derivati. Fra gli altri alimenti, moltissimi di per sé non contengono glutine, ad esempio le verdure, le uova, le carni, i formaggi, il pesce, i legumi, gli ortaggi e la frutta. Tuttavia, quando si ha a che fare con prodotti che non dovrebbero comportare alcun rischio per il celiaco, si pone spesso un problema, cioè la cosiddetta contaminazione da glutine. Accade, in sostanza, che alimenti teoricamente “sicuri” per il celiaco finiscano per contenere, accidentalmente, tracce (più o meno evidenti e più o meno significative) di glutine.

La contaminazione può verificarsi in qualsiasi fase del ciclo di vita di un prodotto: produzione, lavorazione, confezionamento, trasporto, preparazione, cottura, conservazione. Il tipo di contaminazione che possiamo evitare con più facilità (in quanto dipende sostanzialmente da noi consumatori) è quello che si verifica dentro le nostre cucine, cioè durante la preparazione, la cottura, la manipolazione e la conservazione dei cibi.

Per i prodotti confezionati, la certezza che questi non siano stati contaminati da glutine durante il processo di produzione e confezionamento può essere fornita da tre elementi (è sufficiente che uno solo dei tre requisiti sia soddisfatto):

  • il prodotto è segnalato sul prontuario dell’AIC (Associazione Italiana Celiachia)
  • la confezione riporta il marchio della spiga barrata
  • la confezione riporta la dicitura “senza glutine”

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È comunque fondamentale “fare esperienza sul campo”, cioè imparare a leggere le etichette anche di tutti gli altri prodotti e a riconoscere gli ingredienti nocivi o potenzialmente a rischio. La dicitura “può contenere tracce di glutine” segnala che l’azienda produttrice non garantisce l’assenza di contaminazione, per cui il prodotto è da considerarsi a rischio.

Nota dolente, in fatto di contaminazioni, rimane l’alimentazione fuori casa (pizzerie, ristoranti, gelaterie, mense, bar). In questo campo molto è stato fatto dall’AIC per sensibilizzare e formare i ristoratori sulla cucina senza glutine. È stato costruito così un circuito nazionale di esercizi commerciali informati sulla celiachia e sulla cucina glutenfree, presso i quali il celiaco può recarsi. È da tenere presente, tuttavia, che l’AIC effettua verifiche costanti sugli esercizi che aderiscono al circuito e offre loro una collaborazione serrata, ma non può in alcun modo tenere sotto osservazione 24 ore su 24 la condotta di proprietari e ristoratori, pertanto non si assume la responsabilità di eventuali contaminazioni.

Negli ultimi anni si è comunque sedimentata una certa sensibilità e conoscenza in tema di celiachia, e molti ristoranti che non rientrano nel circuito AIC si sono comunque formati sulla cucina senza glutine e attrezzati per fronteggiare il rischio delle contaminazioni. Si può quindi entrare in un qualsiasi esercizio, esplicitare le proprie esigenze, e chiedere se sono disponibili portate senza glutine. Purtroppo, nonostante i dovuti accorgimenti per non incappare in possibili contaminazioni, azzerare completamente il rischio è praticamente impossibile, sia in casa che fuori casa.

Quando un cibo può dirsi “contaminato”? Esiste una definizione precisa?

In primis bisogna sapere che un alimento è considerato sicuro per i celiaci se la quantità di glutine che esso contiene è inferiore ai 20 ppm (parti per milione). Dato questo valore di riferimento, un prodotto ritenuto idoneo per i celiaci (sulla base dei tre criteri citati sopra) può contenere quantità di glutine inferiori a questo limite, che non risultano nocive per l’intestino e che quindi possono essere tranquillamente ingerite dal celiaco. Inoltre uno studio approfondito, effettuato nel 2001 dal Prof. Catassi e dai suoi collaboratori, ha concluso che affinché si manifestino danni a carico dei villi dell’intestino tenue il celiaco deve assumere una dose giornaliera minima di glutine di 50 mg/giorno (50mg/die) per 90 giorni consecutivi (per informazioni scientifiche più dettagliate: http://www.glutenfreetravelandliving.it/quanto-glutine-in-una-briciola-di-pane/).

Alla luce di quanto detto, è chiaro che informazione e responsabilità sono necessarie per compiere delle scelte alimentari consapevoli e non lasciarsi prendere dal panico. Spetta a noi informarci, chiedere, prestare attenzione alle etichette, organizzare una cucina a prova di contaminazioni ed educare gli altri a prendere sul serio le nostre esigenze. La pazienza, in questi casi, è una virtù davvero preziosa. Occorre anche essere flessibili, soprattutto quando si mangia fuori casa, cioè sapersi adattare in tutti quei contesti non proprio all’altezza delle nostre richieste: bisogna pretendere assoluta chiarezza su ciò che si consuma e accertarsi che non vi siano rischi, ma bisogna anche prendere atto del fatto che non sempre ristoratori, amici e parenti possono garantire un’offerta di piatti senza glutine ampia e molteplice, proprio perché il problema delle contaminazioni in alcuni casi non può essere evitato e in molti casi non viene tenuto nella dovuta considerazione. L’auspicio è che nel tempo l’attenzione a questo fenomeno diventi sempre più alta e diffusa, ma spetta anche a noi consumatori celiaci lavorare in questa direzione.

Una buona dose di creatività, infine, aiuta tantissimo, perché ci rende capaci di trovare delle sane alternative ai prodotti glutinosi, di sperimentare in cucina e di escogitare soluzioni per fronteggiare il pericolo delle contaminazioni.